Brexit: il Regno Unito dovrà riconsiderare i suoi regimi sanzionatori
A seguito del referendum del 23 giugno 2016, i cittadini britannici hanno espresso la loro volontà di uscire dall’Unione Europea (“UE”) (la cosiddetta Brexit). Nonostante il referendum abbia soltanto un valore consultivo, il Governo britannico si è comunque impegnato ad avviare la procedura di cui all’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (“TUE”), che prevede un periodo di due anni di negoziazioni tra lo stato recedente e l’UE.
Secondo la Commissione per gli affari esteri del Regno Unito, tra le varie conseguenze dell’avviamento di tale procedura, vi sarà la modifica della politica estera, che include il regime di sanzioni. Se da un lato la decisione di recedere dall’UE non cambierà lo status di Stato membro del Regno Unito fino al raggiungimento di un accordo di recesso, dall’altro la Commissione per gli affari esteri ha invitato il governo e il Ministero degli esteri del Regno Unito (Foreing & Commonwealth Office – FCO) ad aprirsi a nuove opportunità per ridefinire il ruolo internazionale del paese.
La Commissione ha suggerito l’adozione di un approccio di “policy mirroring”, continuando ad allinearsi ai regimi di sanzioni europei – metodo attualmente usato da alcuni Stati non appartenenti all’UE come la Svizzera e la Norvegia – oppure di incrementare i propri poteri autonomi di sanzione, concedendo maggiore autonomia alle agenzie nazionali competenti, come l’Office of Financial Sanctions Implementations (OFSI).
Per il momento, gli obblighi del Regno Unito verso i regimi sanzionatori dell’UE rimangono invariati. Le sue misure autonome relative al congelamento delle risorse terroristiche continueranno ad applicarsi, come anche le restrizioni imposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche il Joint Comprehensive Plan of Action firmato con l’Iran rimarrà intoccato.
Si ritiene che la politica di sanzioni europee, indebolita dalla Brexit, potrebbe portare alla necessità di impiegare altre forme di diplomazia, di coercizione o di pressione politica più costose e complicate. Inoltre, vi è anche la possibilità che si rafforzi la posizione della Russia, che beneficierebbe di un’Europa frammentata e più debole.